Wieland Herzfelde - L'etica dei malati di mente

Chiamiamo malati di mente uomini che non ci comprendono o che non comprendiamo. Si parli solo di questi ultimi.Comunemente non si fa questa distinzione. I malati di un manicomio sono matti; questo basta. Quando si parla di malati di mente ci si immagina megalomani, pazzi furiosi, pazzi religiosi, ecc. Si compiangono questi poveri infelici, li si deride e si inorridisce di fronte alla loro sorte. Questo atteggiamento consueto è ingiusto. Il malato di mente è capace in sé di essere più felice di quanto possiamo esserlo noi: poiché è più naturale e più umano di noi. All'agire lo spinge sentimento, non logica. Il suo fare è potente, immediato. «Religione della volontà» chiamiamo la pazzia: solo la volontà può educare il sentimento alla forza.Il malato di mente è artisticamente dotato.Conserva il suo linguaggio: esso è espressione psichica, però evita ortografia, punteggiatura, anche parole, modi di dire, che non hanno la radice nella sua percezione; non per smemorataggine, ma per irritazione. Il pazzo non è smemorato. Ciò che si è impresso una volta nella sua anima, rimane nella sua memoria. Per tutto ciò che gli fa impressione ha una memoria migliore di noi, ma non ne ha affatto per le cose che gli sono indifferenti. Simile talento ha fruttato anche all'artista la fama di sognatore timoroso della realtà, privo di scienza.Il pazzo rivela il suo senso dell'essenziale e dello straordinario nel non usare linguaggio e scrittura mai inelegantemente, goffamente e volubilmente. Per cose delle quali parla frequentemente, come fiori, gioie, alte dignità, non gli bastano i nostri concetti contati. Inoltre pronuncia le parole diversamente da noi, non per incapacità, ma per iniziativa artistica: inventiva, piacere nell'arbitrario.

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